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Terapie

Farmacoterapia: gli psicofarmaci fanno male?

26 Marzo 2020 | a cura di Alessandro Rotondo

È una colpa, una vergogna, una debolezza inaccettabile dover ricorrere a terapie “psico”- farmacologiche quando la depressione, l’ansia e le preoccupazioni eccessive trasformano la vita in un inferno?

Per molti la risposta è “sì”. Purtroppo, gli psicofarmaci sono spesso considerati esclusivamente come sostanze che cambiano e danneggiano il funzionamento del cervello e non possono affatto risolvere quei problemi per cui ci si sente ansiosi e depressi.

Milioni di persone assumono per anni, a volte “per sempre”, farmaci per le più svariate malattie: ipertensione arteriosa, diabete, cardiopatie, ulcera gastrica e duodenale – solo per citare le più frequenti – senza porsi grossi problemi. Ma quando si tratta di prendere, anche per breve tempo, antidepressivi e/o ansiolitici – per non parlare di antipsicotici – le domande più frequenti sono: “è proprio necessario?”; “mi faranno male?”; “dovrò prenderli per tutta la vita?”.

Nonostante i pregiudizi, gli psicofarmaci, in particolare gli antidepressivi, sono tra i farmaci più utilizzati in Italia. Il loro consumo è in crescita ed è aumentato del 4,5% rispetto al 2004 (in base ai dati dell’Agenzia Italiana del Farmaco – AIFA) soprattutto in conseguenza della crisi economica che ha rimesso in discussione, talvolta drammaticamente, la vita di molti italiani. Nel 2017, in base ai dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, la depressione è diventata la patologia responsabile della perdita del più elevato numero di anni di vita attiva e in buona salute. Pertanto, curarla è indispensabile.

Nella speranza di fugare i pregiudizi che spesso inducono a non assumere o a sospendere senza criterio i farmaci con conseguenze a volte gravi per la salute, vorrei dare risposte scientifiche alle domande che i pazienti più frequentemente pongono durante le terapie psicofarmacologiche.

Perché dovrei fare una terapia farmacologica?

Perché l’ansia, la depressione, le psicosi sono malattie del cervello. Che è un organo del corpo umano come tutti gli altri organi. Come questi, può e deve essere curato con farmaci specifici ed efficaci. Esso può essere considerato come un’enorme e complessa rete elettrica, al cui interno possono crearsi dei cortocircuiti. Dobbiamo pertanto pensare ai farmaci come ad un “nastro isolante” in grado di riparare lentamente i circuiti danneggiati, che impiegano almeno un mese per cominciare a funzionare di nuovo.

Leggi anche Dovrò prendere farmi tutta la vita?

A seconda della malattia, il “nastro isolante” non va rimosso per un tempo variabile (ovvero la cura va continuata!): in genere si tratta di mesi, in modo da consentire una riparazione stabile ed efficace dei “cavi elettrici” danneggiati.

 

I farmaci vanno presi tutta la vita?

In alcuni casi è necessaria una terapia a lungo termine, assumendo la dose minima efficace di farmaci. È il caso di alcuni disturbi dell’umore e psicotici e, più raramente, di disturbi d’ansia che tendono a ripresentarsi quando i farmaci vengono sospesi di colpo e/o senza controllo medico. Tornando all’esempio del cervello concepito come una rete elettrica, si cercherà di ridurre la quantità di “nastro isolante” sui cavi “malati” alla striscia più piccola possibile, per evitare che si rompano di nuovo.

Ciò vale non solo per i disturbi del cervello, ma ovviamente per tutte le malattie. Chi può dire di non avere un familiare che assume farmaci “a vita” per la pressione alta, il diabete, problemi di cuore, l’artrosi e via enumerando?

Prendo “troppi” farmaci. Non esiste un singolo farmaco che curi il mio problema?

Torniamo all’esempio del cervello paragonato a una rete elettrica. Semplificando molto, ogni circuito cerebrale ha una funzione specifica nella regolazione dell’umore, dell’ansia, del flusso dei pensieri; quando è danneggiato, ha bisogno di particolari tipi di “nastro isolante” – ovvero differenti psicofarmaci – per essere riparato. Pertanto, quando i disturbi dipendono dal malfunzionamento di più circuiti, occorre associare più farmaci, per ripararli tutti. Ovviamente, man mano che le cose migliorano, si cerca, quando è possibile, di ridurre le dosi e il numero dei farmaci somministrati.

 

Gli psicofarmaci danno dipendenza?

Soltanto alcuni tranquillanti chiamati “benzodiazepine” (Tavor, Lexotan, Valium, Xanax, Prazene, Minias, per citare quelle più comunemente prescritte, ma vale per tutte), SE USATI PER MOLTO TEMPO, danno sia dipendenza (cioè la loro sospensione determina crisi di astinenza) che assuefazione (nel tempo la loro efficacia diminuisce). Il loro uso per brevi periodi, uno-due mesi al massimo o solo al bisogno, non dà problemi. Tutti gli altri psicofarmaci, nessuno escluso, non danno dipendenza né assuefazione. Ma va da sé che, come tutti i farmaci, vanno assunti e sospesi solo sotto stretto controllo medico.

 

Se prendo farmaci per lungo tempo, mi faranno male al fegato, ai reni, al cervello…?

I farmaci, come tutte le sostanze dotate di un’azione biologica che immettiamo nel nostro corpo, possono avere effetti collaterali in soggetti sensibili e predisposti. È ovvio che il beneficio deve sempre essere superiore ai possibili danni. Nessuno deve intraprendere una terapia antidepressiva o ansiolitica se non è strettamente necessario. D’altra parte, la depressione e l’ansia croniche creano danni alla psiche e al corpo, determinando uno stato di stress continuo, che riduce le difese immunitarie e compromette la funzionalità degli organi (si pensi alla tachicardia e all’aumento cronico della pressione arteriosa, indotte dall’ansia). Non curarle espone a rischi decisamente superiori rispetto a quelli di possibili – ma poco probabili – “gravi” effetti collaterali da farmaci!

Io mi voglio curare solo con farmaci “naturali” perché quelli “chimici” fanno male alla salute.

Le due immagini qui sotto, tratte da un articolo di “Newsweek”, ci aiutano a comprendere i danni provocati dall’ansia non solo sul cervello, ma anche sul corpo.

 

Una diffusa credenza, supportata purtroppo anche da alcuni mezzi di comunicazione, ritiene che i farmaci “naturali” (derivati da erbe, radici, fiori e via di seguito) siano più sicuri e altrettanto – o addirittura più – efficaci di quelli prodotti dalle industrie farmaceutiche per sintesi chimica. Niente di più falso e fuorviante:

  • Sia i farmaci “naturali” che quelli “artificiali” sono prodotti chimici: nel senso che sono composti da molecole con un’attività biologica (ad esempio, possono ridurre la pressione del sangue o migliorare la depressione). Ciò che li differenzia è solo il laboratorio di produzione: nel primo caso, la natura. Nel secondo, un’industria farmaceutica.
  • I prodotti “naturali” possono avere effetti collaterali e tossicità analoga a quelli “artificiali” in persone predisposte e se assunti in dosi e per tempi non adeguati. Ad esempio, l’iperico o erba di San Giovanni – rimedio naturale ampiamente utilizzato per la cura “naturale” della depressione e dell’ansia – può dare fotosensibilizzazione anche grave e riduce l’efficacia della pillola anticoncezionale.
  • Mentre l’efficacia e la sicurezza dei farmaci “chimici” è testata per legge da lunghe sperimentazioni, quella dei farmaci naturali è spesso garantita solo da “antiche tradizioni popolari”. Senza chiara evidenza né dell’efficacia, né delle dosi necessarie per ottenere risultati apprezzabili e duraturi.
  • Farmaci chimici o naturali? Abbandoniamo questo pregiudizio! Ciò che conta è solo se funzionano e se sono sicuri. Non bisogna avere alcun pregiudizio. Ciò che conta è solo se funzionano e se sono sicuri.
  • Tutto ciò, sia ben chiaro, significa che anche i cosiddetti farmaci “naturali”, visto che non fanno sempre bene e sono “sicuri” come erroneamente si pensa, vanno usati con cautela e sotto stretto controllo medico.

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