Qualche giorno fa ho ricevuto la telefonata di una paziente. Era preoccupata. “Ho saputo che questa pandemia è stata creata in laboratorio per spingerci a vaccinarci tutti, così aumentano i profitti delle case farmaceutiche. Ho paura. Ho paura di ammalarmi, ma ancora di più temo gli effetti collaterali di un vaccino obbligatorio per il coronavirus. Sono disperata”. Le sue ossessioni di contaminazione e i rituali di pulizia erano diventati intollerabili!
La pandemia da coronavirus (COVID-19) è un evento epocale: stiamo attraversando l’emergenza sicuramente più grave dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.
La rapidità con cui il contagio si è diffuso, la gravità della malattia che, soprattutto negli anziani, può portare fino alla morte, l’assenza di terapie valide e di un vaccino efficace hanno costretto governi e istituzioni pubbliche a misure drastiche che hanno sconvolto le nostre esistenze. Quarantena, distanziamento sociale e chiusura delle frontiere hanno gravemente limitato la nostra libertà di movimento e di interazione sociale con conseguenze economiche, sociali e familiari difficilmente quantificabili al momento, ma che cambieranno per lungo tempo le nostre abitudini e la nostra stessa vita. Sicuramente, hanno già minato il benessere psicologico di molti e la salute mentale dei più deboli.
Sebbene gli studi in proposito siano ovviamente agli albori, un sondaggio ancora in corso dell’Università di Roma Tor Vergata in collaborazione con l’Università dell’Aquila (1) ha già prodotto evidenze allarmanti. Lo studio sta esaminando un campione di 18.147 persone (di cui il 79.6% rappresentato da donne) e le interviste sono state effettuate fra il 27 marzo e il 6 aprile 2020, in coincidenza con il picco della pandemia da coronavirus e della quarantena.
I primi risultati indicano che:
- il 37% presentava sintomi propri del disturbo da stress post-traumatico;
- quasi il 21% aveva gravi sintomi d’ansia;
- il 17% riportava sintomi depressivi gravi;
- il 7% lamentava insonnia persistente.
E non dobbiamo dimenticare che, come si è verificato in precedenti pandemie, l’emergenza sanitaria sta aggravando significativamente lo stato di salute di molte persone che soffrivano di disturbi mentali già prima dell’avvento del coronavirus (2).
- Il timore di essere contaminati
- l’angoscia per i familiari colpiti o, addirittura, uccisi da COVID-19
- il rischio di perdere il posto di lavoro o di dover chiudere la propria attività
- l’impossibilità di potersi spostare e riunire liberamente per incontrare congiunti e amici o semplicemente andare al cinema o al ristorante
sono tutti fattori in grado di spiegare il disagio mentale che emerge dalla ricerca scientifica. E tutti questi fattori hanno come denominatore comune l’insicurezza che a sua volta, genera paura, indignazione e rabbia.
Di questi sentimenti, pur normali in tempi così difficili, si nutre la disinformazione che, esattamente come la pandemia da coronavirus, si è propagata su scala planetaria creando una vera e propria infodemia. Essa sfrutta la fame di notizie, l’infomania, che in questo periodo affligge tutti noi, incollati alla televisione o sui social, avidi di informazioni affidabili (speranza spesso delusa) su quanto sta succedendo e, soprattutto, su quello che potrà succedere.
Il meccanismo è noto, come ben descritto qualche tempo fa da Luca Sofri sulle pagine del quotidiano “Il Post” (3):
… Della paura si sa: allarme, rischi, pericoli, ipotesi nefaste, cose da temere, possibilità sgradevoli, creano un repertorio che va tecnicamente sotto il nome di “terrorismo mediatico” e che a volte si avvicina alla fattispecie giuridica del “procurato allarme”, ampiamente familiare a esperti e lettori. Le titolazioni ci investono molto, selezionando negli articoli quello che può generare questi effetti e anche creandolo artificiosamente quando non c’è. L’idea è che ciò che genera paura e preoccupazione – ma anche indignazione e collera conseguenti – attragga di più l’attenzione dei lettori …
Le notizie dilagano prive di fondamenti socio-politici, economici e scientifici, con declinazioni diverse in base agli interessi che devono supportare e promuovere.
- Il governo americano sostiene che il virus sia stato creato e diffuso da un laboratorio cinese
- i russi sono sicuri che l’epidemia sia parte della guerra commerciale fra USA e Cina e sia stata creata dai servizi segreti americani per destabilizzare il governo cinese
- gli iraniani accusano gli Stati Uniti e i musulmani sunniti di voler colpire il loro popolo che è sciita
- i movimenti antivax, contrari alle vaccinazioni, sospettano che la diffusione del coronavirus sia stata favorita dalla vaccinazione antinfluenzale.
E potremmo continuare all’infinito.
Chi non sarebbe impaurito, indignato, arrabbiato se queste affermazioni fossero vere? E quanto gravi potrebbero essere le conseguenze sull’equilibrio psichico, soprattutto se già compromesso da disturbi mentali?
Purtroppo, non è difficile cadere in trappola, anche per le persone più attente e critiche.
Scrive lo storico Yuval Noah Harari nel suo bestseller “21 lezioni per il XXI secolo” (4):
I processi globali sono troppo complicati per poter essere compresi appieno da chiunque. Come può una persona conoscere la verità su quanto accade nel mondo senza cadere facilmente vittima della propaganda e della manipolazione dell’informazione?
In tal modo si determina una frattura tra ciò che è vero e ciò che viene percepito come vero e vissuto come una verità assoluta. Si crea una post-verità. La distinzione fra verità e bugia non è più rilevante. Il parere dei competenti e degli esperti è senza valore. Una notizia (assumiamo che sia falsa), nonostante sia smentita ripetutamente, viene creduta vera da tantissime persone e ne influenza vita e decisioni. Del resto bisognerebbe partire dall’assunto che la scienza in sé è neutra, che opera in base ai principi del dubbio e della replicabilità dei risultati. La verità per la scienza non è un concetto assoluto, ma relativo e in continuo progresso.
Quindi, tornando al coronavirus, il problema è diventato come comunicare la scienza, come selezionare gli interventi affidabili da quelli palesemente errati, come verificare le fonti, sapendo quanto sia difficile avvicinare grandi masse di persone a una comunicazione scientifica corretta.
Questa difficoltà è sotto i nostri occhi. Molte persone si sono create una propria opinione, spesso catastrofica e complottista, sull’andamento della pandemia, basata su informazioni non concrete, non verificate o totalmente false apprese attraverso i media e/o i social network. C’è un’incapacità diffusa di fidarsi di questo o quello scienziato, ci si muove fra mille affermazioni contraddittorie.
Persino l’OMS, che pure è l’istituzione più affidabile al mondo, è caduta in contraddizione agli inizi del contagio, ritardando le comunicazioni e smentendo le proprie stesse affermazioni. Recentemente è corsa ai ripari e per contrastare la diffusione di fake news ha creato un apposito ufficio dell’OMS, diretto dalla dottoressa Sylvie Brand, la quale ha dichiarato alla prestigiosa rivista The Lancet (5):
Sappiamo che tutte le epidemie sono accompagnate da uno tsunami di informazioni, fra le quali ci sono sempre notizie false e dicerie. Questo accadeva persino nel Medio Evo. Ma la differenza è che attualmente il fenomeno è molto più ampio e dilaga più velocemente, come i virus che viaggiano insieme alla gente e si diffondono velocemente e lontano. Pertanto, abbiamo un compito, e il compito è agire velocemente se si vuole riempire il vuoto [di informazioni]. Quel che è in gioco durante un’epidemia è essere certi che la gente faccia le cose giuste per controllare la malattia o ridurne l’impatto. Dunque, non occorre solo essere sicuri che la gente venga informata: è fondamentale che venga informata su come agire correttamente.
Fra i tanti consigli profusi a piene mani in questi mesi di pandemia per restare mentalmente sani, due mi sembrano veramente importanti. Il primo: evitare l’infomania da consultazione ossessiva dei notiziari e delle catene di Sant’Antonio dei social. Il secondo, raccomandato anche dall’OMS, verificare le fonti da cui provengono le notizie, in particolare quelle allarmanti (6).
Fatti e conoscenza, dunque, per combattere il virus. Ma fatti e conoscenza anche per combattere efficacemente i dubbi, le ansie e la depressione, figli della paura e della rabbia, che accompagnano i tempi d’incertezza in cui viviamo. Perché non potendo avere a portata di mano una verità assoluta e definitiva, bisogna muoversi con cautela e rigore.