Anatomia della violenza: alle radici dell’aggressività umana
16 Gennaio 2025 | a cura di Alessandro Rotondo
La violenza è un linguaggio universale che nessuno vuole imparare, ma che tutti, in un modo o nell’altro, finiscono per conoscere.
Da questo paradosso nascono considerazioni utili a indagare il fenomeno e i complessi meccanismi che regolano questo comportamento solo in apparenza irrazionale, ma che spesso risponde, invece, a logiche ben più profonde e radicate nell’essere umano.
Tra le forme più gravi di aggressività spicca quella legata al Disturbo Antisociale di Personalità (DAP), una condizione che, se non affrontata, può portare a una varietà di comportamenti antisociali, come il bullismo, la violenza fisica e verbale e le dinamiche di branco, nelle quali l’aggressività diventa uno strumento di potere e controllo.
Ma quali sono le cause della predisposizione alla violenza? E, soprattutto, come possiamo prevenirla o, quantomeno, gestirla?
Per introdurre l’argomento con un ulteriore spunto di riflessione, condivido un videoclip realizzato da una nostra vecchia conoscenza, Megan Volpe*, autrice di altri tre splendidi video che abbiamo pubblicato qualche tempo fa.
Alle radici della violenza
Come tutte le manifestazioni più complesse e controverse della natura umana, anche la violenza è spesso percepita come una scelta individuale o come un prodotto della cultura di massa, ma la verità è che le sue radici affondano in una combinazione di fattori biologici, psicologici e sociali.
Non è un caso che, al centro di molte manifestazioni di violenza, troviamo proprio il Disturbo Antisociale di Personalità, che si manifesta già durante l’adolescenza ed è caratterizzato da un modello pervasivo di disprezzo per i diritti degli altri, accompagnato da comportamenti impulsivi, manipolativi e privi di empatia o rimorso.
Il Disturbo Antisociale di Personalità:
dentro la mente oscura
Le persone affette da Disturbo Antisociale di Personalità tendono a essere impulsive, incapaci di pianificare a lungo termine le loro scelte di vita e inclini all’aggressività.
Sul piano sociale, poi, il disturbo si traduce in difficoltà a instaurare relazioni stabili e nel frequente utilizzo della violenza come mezzo per raggiungere obiettivi personali.
Il cervello criminale:
quando le neuroscienze studiano la violenza
Le neuroscienze hanno messo in evidenza il ruolo di anomalie cerebrali nel favorire comportamenti antisociali.
Studi su individui con Disturbo Antisociale di Personalità hanno rilevato disfunzioni nella corteccia prefrontale, l’area del cervello responsabile del controllo degli impulsi, della pianificazione e della regolazione emotiva. Questi deficit rendono le persone più inclini a comportamenti impulsivi e aggressivi.
D’altra parte, anche il sistema limbico, che gestisce le emozioni, gioca un ruolo cruciale: una ridotta attivazione dell’amigdala, ad esempio, è stata associata a una minore capacità di provare empatia e a una maggiore tendenza alla violenza.
Questi fattori biologici possono essere influenzati già durante la gestazione, attraverso complicanze alla nascita o esposizione prenatale a sostanze tossiche come il fumo e l’alcol.
Natural-born killers:
il legame invisibile tra violenza e vita prenatale
Proprio la salute del feto, durante la gravidanza, è determinante per il suo sviluppo neurologico.
L’esposizione a sostanze come nicotina e alcol può, infatti, causare danni significativi al cervello in via di formazione: il fumo di sigaretta (soprattutto se associato a droghe, inclusa la cannabis) riduce l’apporto di ossigeno e nutrienti al feto, causando ipossia (mancanza di ossigeno), che può danneggiare aree chiave del cervello. L’alcol, invece, è associato alla sindrome alcolica fetale, una condizione che comporta ritardi cognitivi, difficoltà di apprendimento e comportamenti antisociali.
Studi longitudinali hanno dimostrato che i bambini esposti a queste sostanze durante la gravidanza hanno un rischio significativamente maggiore di sviluppare disturbi comportamentali e aggressività durante l’infanzia e l’adolescenza.
Crescere senza radici:
l’impatto devastante del rifiuto materno
Dopo la nascita, sarà l’ambiente familiare e sociale a giocare un ruolo fondamentale.
John Bowlby, pioniere nello studio dell’attaccamento, ha dimostrato che la separazione precoce dalla madre o il rifiuto emotivo da parte dei genitori possono avere conseguenze devastanti sullo sviluppo psicologico del bambino.
La mancanza di una figura di riferimento stabile durante i primi anni di vita può impedire lo sviluppo di una capacità empatica, favorendo comportamenti antisociali.
Il rifiuto materno, combinato con fattori biologici come le complicazioni alla nascita, amplifica significativamente il rischio di sviluppare comportamenti violenti.
Uno studio, condotto in Danimarca su oltre 4.000 bambini, ha evidenziato che coloro che avevano subito entrambe queste esperienze erano tre volte più propensi a diventare delinquenti violenti.
Testosterone e violenza:
l’ormone che accende l’aggressività
La ricerca ha evidenziato che gli uomini sono statisticamente più inclini alla violenza rispetto alle donne, in parte a causa dell’esposizione al testosterone durante la gestazione.
Questo ormone, essenziale per lo sviluppo dei caratteri sessuali maschili, influisce anche sulla struttura cerebrale, aumentando tratti come l’aggressività, la ricerca di stimoli e la ridotta empatia.
Un aspetto spesso citato in letteratura è la relazione tra la lunghezza del secondo dito (indice) e quella del quarto dito (anulare), indicata come “2D:4D ratio”. In media, un anulare più lungo rispetto all’indice (rapporto 2D:4D inferiore) viene associato a una maggiore esposizione agli androgeni (testosterone) durante la gestazione.
Studi correlazionali hanno rilevato che individui con un 2D:4D ratio più basso mostrerebbero, in generale, punteggi più alti in alcuni test psicologici di aggressività o impulsività. Tuttavia, la correlazione tra 2D:4D ratio e aggressività è spesso modesta e non confermata da alcuni studi.
Il richiamo del branco:
appartenenza e competizione violenta
Molti episodi di violenza giovanile si verificano all’interno di dinamiche di gruppo, come gang o “branchi”
In questi contesti, la violenza diventa un mezzo per affermarsi, ottenere status o accedere a risorse materiali e simboliche.
Giovani emarginati o cresciuti in ambienti di deprivazione trovano, infatti, nel branco un senso di appartenenza e legittimazione per i loro comportamenti antisociali.
Una dinamica, questa, che riflette una forma di competizione sociale “andata fuori controllo”, in cui il desiderio di riscatto si traduce in atti di aggressione e intimidazione.
A farne le spese sono le vittime innocenti di questi comportamenti che non sono solo il bersaglio diretto della violenza, ma anche simbolo di un sistema sociale percepito come ingiusto e da combattere.
Interrompere la spirale violenta:
strategie di prevenzione
La violenza non è un destino inevitabile. Comprendere le sue cause offre opportunità per interventi mirati, sia a livello individuale che sociale.
Supporto prenatale ed educazione maternaProgrammi di educazione per le donne in gravidanza, mirati a ridurre il consumo di fumo e alcol, possono avere un impatto significativo. Inoltre, il monitoraggio delle complicazioni perinatali consente interventi precoci per mitigare i rischi neurologici.
Sostegno alla genitorialitàOffrire supporto alle famiglie vulnerabili, attraverso programmi di sostegno psicologico e sociale, aiuta a creare un ambiente stabile e affettuoso per i bambini, riducendo il rischio di comportamenti antisociali.
Educazione sociale e inclusioneInterventi nelle scuole e nelle comunità, mirati a promuovere l’inclusione sociale e la gestione dei conflitti, possono prevenire la formazione di gang e dinamiche di branco.
Soluzioni pratiche a livello comunitarioUn piccolo, ma significativo, esempio di successo è il lavoro del professor Jonathan Shepherd a Cardiff, che ha collaborato con produttori di bicchieri infrangibili per ridurre le aggressioni nei pub. Soluzioni simili, che affrontano le cause immediate della violenza, possono essere replicate in altri contesti.
Un futuro senza violenza è possibile?
Come visto, la violenza è certamente una manifestazione complessa, radicata in fattori biologici, sociali e ambientali.
Comprenderla, però, non significa giustificarla, ma piuttosto studiare e creare opportunità per prevenirla e mitigarla, mantenendo comunque la giusta fermezza nel punirla secondo legge.
Interventi mirati, educazione e politiche sociali possono, infatti, ridurre, anche se non interrompere, il ciclo della violenza, offrendo speranza a individui e comunità.
Investire in una società più inclusiva e attenta alle vulnerabilità individuali sarebbe un primo passo fondamentale per costruire un futuro dove la violenza non sia più una risposta inevitabile, ma un’eccezione sempre più rara.
Sfortunatamente, al momento, tutto questo sembra solo una pia illusione…
*Megan Volpe è una regista e video-artista impegnata nell’esplorazione degli stati mentali ed emotivi alla base dei nostri schemi e disagi psicologici. Il suo approccio visivo unico riesce a svelare le molteplici sfaccettature della realtà indagando come ciascun individuo le percepisca e le viva. Attraverso le sue opere, Megan dà voce a esperienze e prospettive diverse, creando un dialogo profondo e inclusivo sul mondo che ci circonda.
PER APPROFONDIRE
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